• Una pagina per la Badia di Palazzuolo di Monteverdi.

    Posted on 17 marzo 2014 by Alessandro Colletti in Cosa Visitare, Storia.

    UNA PAGINA PER « LA BADIA DI PALAZZUOLO A MONTEVERDI MARITTIMO»
    « La torre della Badia di Palazzuolo è per il Contado proprio come la Torre di S. Giorgio alla Cittadella per Pisa ».

    Disegno della Badia di Vallerini

    Disegno della Badia di Vallerini

    Ricorderete bene, o pisani, come il masso rimasto in bilico sui resti della cosiddetta Torre di S. Giorgio lungo le mura della Cittadella, torre di guardia all’Arsenale della Repubblica Pisana, fosse stato già da me indicato in « Pisa come pisano » come il finire d’un tempo in cui intanto il masso non rotola più e può ricominciare come ricomincia un periodo nuovo per Pisa che, con l’ausilio di tutti noi può rialzare la testa; e noi lavorare, rivivere, ricostruire, recuperare quanto è possibile e nel minor tempo possibile.
    Così, frugando nelle pieghe d’un territorio pisano assai vasto e così importante sotto tutti gli aspetti, intendo dire da quelli vitali della sopravvivenza a quelli storici, artistici e a quelli relativi alle bellezze naturali per le quali ultime, senza tema di confronti e di smentite, la nostra terra è stata baciata da Dio, anche se non ci sono state risparmiate pene, quasi fossero colpe da espiare, così frugando – dicevo – palmo a palmo entro questo spicchio d’universo, ho finalmente trovato un’altra pietra che sta in bilico sur un monumento antico e glorioso che desideravo rappresentasse bene le vicende del Contado tanto determinanti nel contesto della storia civile e militare di Pisa, nostra madre comune, per cui non oserei staccare le due entità formanti l’antica città-stato.
    Quella pietra in bilico è proprio una delle guglie della Badia di S. Walfredo Della Gherardesca; guglie non sono, ma così appaiono di lontano in cima a un colle sbucando da una selva fitta. Esse infatti ci sono sembrate come braccia protese al cielo, in atto di raccomandarsi e nella determinazione di voler continuare ad esistere.
    Da Monteverdi Marittimo si domina tutta la valle; sur una altura coperta a bosco ceduo si stagliano le rovine dell’antichissima Badia di Palazzuolo ed è il primo avvistamento. E lassù che dobbiamo andare.
    Ora scendiamo un po’ a valle per la carrozzabile che va a ricongiungersi con Canneto dopo ampio anello, poi si prende una strada sterrata che conduce alle case coloniche; quivi giunti si lascia l’auto per avviarsi ad un sentiero per cresta che descrivendo un semicerchio fra i pini selvatici, gli abeti, gli olmi, i corbezzoli, i ginepri, l’alloro ed una quantità di altre essenze forti, sane e gradevoli, conduce alle rovine del monumento medievale.
    Il sentiero, praticato ormai solo dai pastori, si chiude sempre più e se non ci soccorresse quel senso di orientamento che abbiamo appreso da giovani avendo in dimestichezza la montagna, avremmo vagato per la selva un bel po’.
    Attorno al perimetro della Badia la vegetazione è più fitta e disordinata. Si cerca un varco per entrare e si deve inerpicarsi sul pietrame crollato con una qualche preoccupazione per le vipere che allignano proprio fra le pietre secolari.
    Una volta entrati nel vasto perimetro, la vegetazione diventa un po’ meno invadente, ma lo scopo di poter vedere ampi scorci per disegnarli è frustrato da verdi cortine che si
    In questa situazione è difficile muoversi, finché dall’alto non si riescono a vedere due guglie che sovrastano le grosse mura perimetrali. si può infatti dare l’avvio al primo disegno dei ruderi che vedrete in quest’opera ed un secondo sarà ottenuto con un lieve spostamento (e crepi la vipera!). Certo, con un po’ di fantasia si possono far rinascere le pietre ben squadrate come si usava nel medioevo, una sull’altra, allineatissime, ed è come trapassare un tessuto verde di selva e di fiori, come a noi appaiono. Una architettura allora, si assimila così bene alla natura, il che sarebbe perfino auspicabile come concetto in sé, salvo che qui l’uomo non ci abita più da secoli e non la controlla.
    Si deve uscire da questo labirinto tutto vipere all’agguato. E l’ora si fa tarda, sebbene il sole abbia ad indugiare ancora sulle guglie.
    - Forse non torneremo più qui – dico al mio compagno d’escursione, il pittore Ruschi Pavesi. Frattanto disegno la finestrella superstite, visibile dal fianco.
    E tutto si svolge in silenzio perché anche una voce, come in montagna, può far rotolare quella parete che pare si sgretoli, insomma che sta su per scommessa e siamo come presi da una sorta di febbre. In una fenditura verticale potrebbe entrare un braccio: se un giorno vi entrasse un ramo di un albero qualsiasi alla ricerca della luce, e crescendo facesse leva, tutto rovinerebbe.
    In quella concentrazione, direi di più, in quella specie di tensione commista d’amore per le cose che hanno avuto un destino crudele e di nostra determinazione come testimoni del proprio tempo, l’aria si incrinò all’improvviso: voci di gente che si avvicinava. Di ritorno, alla casa colonica i convenevoli e via: addio guglie superstiti d’una Badia che fu faro di cultura ed oasi di pace; poi tutt’attorno fu una selva di spade e di lance, poi nacque la selva verde che la stringeva d’assedio, poi crollò il tetto, poi fu tolta la tomba del Santo, poi per ultimo s’avvicendò una soldataglia ben più armata e crudele e vi piombarono su bombe d’aereo e cannonate come a Montecassino e tutto rimase lì allo stato di abbandono finché il verde quasi impietosito di tanta rovina non avesse tentato a suo modo di occultare i resti per sempre.
    Tutto sarebbe rimasto sepolto come è accaduto per altre civiltà, se non ci fossero state quelle guglie tese al cielo come braccia imploranti. Al loro richiamo siamo andati, abbiamo testimoniato e lo diciamo al mondo intero.
    Bibliografia:
    - Moretti e Stopani, Chiese romaniche in Val di Cecina, Firenze, Salimbeni, 1970 (4). Stralcio a pag. 89, a proposito della Badia di Palazzuolo: « Date le condizioni in cui si trova, ma alcuni lavori volti a conservare quel poco che è rimasto crediamo sia il meno che si possa fare per salvare dalla completa rovina i resti di quella che fu una delle più potenti abbazie della Toscana ».
    - « La Comunità di Pomarance ». Rivista semestrale a cura dell’Ass.ne Pro Loco. Numero di gennaio-febbraio 1974, articolo « Le acque Volterrane » di Renato Volponi, con belle illustr. fra cui una foto della Badia di Monteverdi (precedente allo svilupparsi della vegetazione di cui s’è parlato).
    Abbiamo già segnalato a chi di dovere la situazione della Badia, situazione che è tanto peggiorata rispetto a quanto veduto (e fotografato) dagli autori del libro, e dell’articolo summenzionato e rinnoviamo da qui ancora un invito a provvedere, più che invito supplica, che per la natura di questo volume si consegna alla storia.
    Lo stesso facemmo per l’Oratorio di Legoli affrescato da Benozzo Gozzoli e per i resti pur cospicui della Pieve di Sillano. Sono convinto delle difficoltà in cui si dibatte la Soprintendenza ai Monumenti di Pisa che mi ha scritto una bella lettera in data 14 giugno 1974. Avanzo una proposta: perché non adottiamo, noi pisani, come si adotterebbe un figlio, una alla volta queste « creature dell’arte » queste tre « creature derelitte » e le salviamo? Ci sono cittadini capaci e Istituzioni che hanno per statuto lo scopo di fare del bene all’umanità, di fare qualcosa per la cultura, qualcosa per gli altri; ebbene, questa indicazione può essere preziosa. Anche per questa via la civiltà se n’avvantaggia, anche per questa via si conquista la pace interiore, anche per questa via si tramanda il buon nome di famiglia.

    Tratto dal libro di Fernando ValleriniIl territorio pisano” edito a Pisa nel 1975.

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