• L’ara romana alla Dea Bellona della chiesa di Monteverdi Marittimo.

    Posted on 25 marzo 2014 by Alessandro Colletti in Storia.

    A Monteverdi Marittimo nella chiesa dedicata a S. Andrea c’è una testimonianza di epoca romana, un’ara marmorea usata da tempo immemorabile come fonte battesimale. 001
    Sul fronte reca la scritta:
    BELLONAE SACR
    DONAX AVG. LIB
    MESOR D.D

    cioè: Alla sacra Bellona, Donace, liberto di Augusto, agrimensore, diede( dedica) in dono.
    Si ritiene comunemente che la vasca costituisse la base di un’ara pagana dedicata alla dea Bellona, dea della guerra, figlia di Forcide e di Ceto, sorella e moglie di Marte. A Roma le era stato dedicato un tempio dove il Senato dava udienza agli ambasciatori e alla cui porta si trovava una piccola colonna chiamata bellica, contro cui l’araldo lanciava una picca tutte le volte che si dichiarava la guerra.
    Donace di professione agrimensore, cioè esperto nella scienza di misurare i campi, i terreni, levare le piante formare le mappe e riprodurle esattamente mediante il disegno geometrico e topografico, era liberto di Augusto, titolo quest’ultimo attribuito nel 27 a.c. a Ottaviano, primo imperatore romano, che suddivise l’Italia in 11 regioni e affidò ai liberti, in origine schiavi liberati ma successivamente capi militari dell’ordine equestre, l’amministrazione di fatto dell’impero e distribuì ampi territori ai veterani di guerra. I territori della Val di Cornia e della Maremma assunsero il nome di Colonia Giulia Ossequiosa, chiamata così in omaggio alla gens Julia di cui faceva parte anche l’Augusto Ottaviano.
    La morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.c., permetterebbe di datare agli inizi del I secolo l’ara di Monteverdi.
    Attualmente le lettere S e A di SACR sono poco leggibili, i punti dopo AVG e la prima D sono rappresentati da piccoli cartigli.
    Il Targioni Tozzetti così la descrive :” Nella Pieve di Monteverdi è una pila di marmo, alta e larga poco più d’un braccio e mezzo misura Volterrana , che presentemente serve per la Benedizione del Fonte battesimale nel Sabato Santo, ivi a lettere semicubitali si legge,
    BELLONE SACR. DONAX AVG. LIB MESOR D.D.”
    Questa iscrizione fu pubblicata dal celebre proposto Ant. Franc. Gori, Inscript. Antiq. Tom. 2 p.147

    La Giuliani e altri autori indicano che la pila è stata trovata in località Badiavecchia , durante gli scavi, negli anni ’70, per la costruzione del podere S.Valentino: in effetti furono trovate colonne di marmo e di granito, monete e tombe romane ma non la pila, la cui prima citazione è del Gori nel 1727, due secoli e mezzo prima dei recenti scavi in Badiavecchia, e fin dal 1751 ne viene segnalata la presenza nella chiesa di Monteverdi.
    La svista è giustificata dalla presunzione che solo in Palatiolo, dove esisteva un piccolo palazzo o villa romana, come dimostrano il toponimo e i ritrovamenti, e tenuto conto dell’uso longobardo di recuperare le strutture romane, poteva esser stata rinvenuta l’ara di Donace. Altri luoghi nel territorio hanno rivelato tracce diverse di insediamenti romani ed etruschi, tuttavia che il tempio alla dea Bellona fosse localizzato proprio nel luogo in cui Walfredo, con il vescovo Forte e Gundualdo, fondò nel 752/3 il monastero di San Pietro in Palazzuolo, resta l’ipotesi più accreditata.Un tenue ma sicuro filo conduttore, l’acqua, unisce Palazzuolo con la pila – denominazione attribuita in origine a vasca utilizzata per contenere acqua , oppure come abbeveratoio per il bestiame e, più recentemente per l’acquasanta all’ingresso delle chiese – manufatto che trova senso e utilità presso una fonte.
    La pila ha forma rettangolare e misura cm. 96L, 84P e 78H con spessore medio di 9 cm. salvo sul fondo della vasca che è mediamente di 18 cm. : il fondo presenta una depressione circolare di 30 cm. di diametro per la raccolta dell’acqua. Ha un peso notevole, calcolato in 6 q.li circa, che deve aver dato non pochi problemi per il trasporto nella attuale sistemazione e di cui , finora, non si è trovato traccia nelle cronache della comunità di Monteverdi.
    Alessandro Colletti, febbraio 1998.

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